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Anche i giornalisti pubblicisti potranno rifiutarsi di rivelare le fonti

La Corte d’Appello di Caltanissetta  con una sentenza emessa lo scorso 25 ottobre 2016, ha stabilito che anche i giornalisti pubblicisti si possono rifiutare di rivelare le fonti di conoscenza delle notizie pubblicate. L’importante decisione assunta dalla corte d’Appello della città nissena (presidente ed estensore il giudice Andreina Occhipinti) riguarda la vicenda di due giornalisti pubblicisti, imputati del reato di favoreggiamento personale per essersi rifiutati di indicare, ai Carabinieri e al pubblico ministero, i nomi delle persone da cui avevano avuto notizie da loro stessi pubblicate su due quotidiani. Gli imputati erano stati assolti in primo grado, ma la Procura generale aveva proposta appello, chiedendo la condanna dei due giornalisti.

In proposito è utile ricordare che già l’art. 2 della legge n. 69/63 sull’ordinamento della professione di giornalista dispone testualmente che “giornalisti ed editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario delle stese”, ma, tuttavia, prima dell’entrata in vigore del Codice di procedura penale del 1988, il giornalista non si poteva esimere dal testimoniare circa la fonte della notizia“, non essendo compreso fra coloro che eccezionalmente la legge processuale esonerava dall’obbligo della testimonianza.  Il legislatore, nell’intento di rimediare a tale lacuna, all’art. 200 del nuovo Codice ha previsto “l’esplicito riconoscimento del diritto di astenersi dal deporre anche ai giornalisti professionisti iscritti nell’Albo professionale, relativamente alla indicazione dei nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione”. Seppur tardivamente, dunque, i giornalisti sono stati inseriti tra coloro che, eccezionalmente, la legge processuale esonerava dall’obbligo della testimonianza, ma come osservato dalla Corte d’Appello di Caltanissetta, tale facoltà non era attribuita ai pubblicisti ed era riservata unicamente ai giornalisti professionisti. Al riguardo, però, la stessa Corte d,Appello ha ritenuto che in base a “un’interpretazione  in bonam partem dell’art. 200 del nuovo Codice di procedura penale”, si può giustificare il rifiuto degli “imputati  – anchorché solo giornalisti pubblicisti e non professionisti – di rilevare le fonti di conoscenza delle notizie pubblicate”. In definitiva, la Corte d’Appello di Caltanisetta, con grande acutezza, ha fatto rilevare che in base alla legge n. 69/63, l’attività del professionista e quella del pubblicista non presentano “differenze di ordine qualitativo” e tale circostanza oggettiva consente, dunque, “un’interpretazione estensiva” della disciplina codicistica sul segreto professionale. Un plauso, dunque, va rivolto in conclusione alla Corte d’Appello di Caltanissetta, che, con la sua pronuncia, ha posto rimedio ad una evidente distorsione compiuta dal legislatore nella valutazione della professione giornalistica.

 

Nicola Di Pardo – Consigliere-Segretario OdG Molise

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